Thursday, November 8, 2012

Un'ipotetica Lei, un ipotetico Lui_parte 1.


(Lei)

Girai a Nord, poi ad Est, poi di nuovo a Nord, ed uscii su Piazza Maggiore. Quella di ragionare come se fossi un boy scout con una bussola nel mezzo di una foresta era una cosa che mi aveva insegnato zio Alfredo, il fratello di mio padre, quando io ero ancora una bambina: la destra e la sinistra sono delle cose troppo soggettive, diceva, ciò che è per me la destra per te che mi stai di fronte è la sinistra, e viceversa, meglio affidarsi ai quattro punti cardinali, diceva, che almeno quelli stan sempre fermi lì, non si muovono, e ciò che è Nord per me lo è anche per te, lo deve essere per forza. Io rimanevo sempre ammaliata da ciò che mi diceva zio Alfredo, e cercavo di seguire i suoi consigli alla lettera. Era una figura strana nella nostra famiglia, sapevo che a mio padre lui non andava molto a genio, ma non capivo bene il perché. Veniva a trovarci raramente, il più delle volte solo per le feste di Natale, ma ogni volta che veniva aveva sempre una storia nuova da raccontare; infatti, zio Alfredo era un gran viaggiatore. Ho passato quasi tutti i miei Natali ad andargli dietro, a seguirlo per tutta la casa come un segugio e a pregarlo di raccontarmi qualcosa, finché lui, ridendo, non si arrendeva, si accomodava sul divano davanti al camino, mi faceva sedere sulle sue ginocchia e mi parlava, per ore, di terre lontane, di persone in vestiti colorati, di animali feroci che abitano in giungle mai toccate da piede umano, di cibi dai sapori indescrivibili (dolci ma amari, salati ma insipidi, teneri ma croccanti), e io rimanevo a bocca aperta e gli occhi spalancati a cercare di immaginarmi tutto ciò, e la notte mi giravo e rigiravo nel letto, senza riuscire a prendere sonno, pensando a come sarebbe bello poter seguire lo zio in uno dei suoi viaggi, e allora il giorno dopo mi facevo coraggio e glielo andavo a chiedere, e lui, ogni volta, scoppiava a ridere, ma non era una risata offensiva, deridente, no, era più una risata triste, e mi rispondeva semplicemente Non è possibile piccola, e io sapevo che non era una cosa che dipendeva da lui, che se avesse potuto mi avrebbe portata con sé, glielo leggevo negli occhi, in quegli occhi chiari e sinceri, così teneri, così diversi dagli occhi neri e severi di mio padre, e se proprio non si poteva fare ci doveva essere un motivo importante, anche se non sono mai riuscita a trovare le forze per chiederglielo, qual era, questo motivo. Così, mi accontentavo di ascoltare i suoi racconti, le sue avventure, e avrei potuto farlo ininterrottamente, per giorni, e probabilmente anche lo zio Alfredo avrebbe potuto parlare per tutto il tempo che avevamo a disposizione, se non fosse per mia madre che veniva a interromperci ogni volta, mi rimproverava per essere così assillante, mi diceva che dovevo lasciare stare in pace lo zio, che era venuto qui per riposarsi, mica per fare il cantastorie, anzi, Alfredo, vieni di là con me, vieni a riposarti un po' con me, Maurizio è uscito e non tornerà prima di stasera, ti va di farmi compagnia? Così, mentre mia madre, chiudendo dietro di sé la porta, guidava lo zio in direzione della camera da letto, tenendolo per un braccio e ridendo istericamente come una ragazzina, io rimanevo da sola nella grande sala, seduta sul finto tappeto persiano davanti a un fuoco scoppiettante, e vedendo in quelle lingue danzanti i personaggi dei racconti di mio zio.
Poi, un giorno, mio padre tornò prima del previsto. Ci fu un gran baccano quella sera, a me fu proibito di uscire dalla cameretta, ma sentii urla, e oggetti scaraventati contro i muri, e i pianti di mia madre, e la porta d'ingresso che sbattè diverse volte. Da allora zio Alfredo non venne mai più a trovarci, e i nostri Natali diventarono piatti e monotoni come qualsiasi Natale di una qualsiasi famiglia medio-borghese, e non c'era più la sua allegria, la sua aria di esoticità, di novità, il suo bagliore negli occhi a tirarci fuori da quei rituali consolidati, da quella normalità noiosa e così insopportabile al mio animo curioso e avventuriero.
Ma il tempo guarisce tutte le ferite, e fa dimenticare tante cose. Crebbi, e, seppur oramai non c'era più nessuno a coltivare in me quella voglia di viaggiare, e di scoprire il mondo, e di conoscere posti e persone lontane, il seme comunque era rimasto, resistente al freddo e alla siccità, e non aspettava altro che essere gettato su un terreno fertile. Fu durante il mio diciassettesimo anno di vita che arrivò il telegramma che comunicava che, munito dei conforti religiosi, era venuto a mancare all’affetto dei suoi cari Alfredo Locantore. A darne il doloroso annuncio erano la moglie Zlata e i figli Andrej e Kristjan, i quali ci invitavano anche al funerale, il quale si sarebbe tenuto due giorni dopo in un paese dal nome impronunciabile, che poi scoprii trovarsi nella verde campagna slovena, a pochi chilometri dal confine con l'Italia. Mia madre scoppiò a piangere, e notai che anche sul viso vecchio e rugoso di mio padre si poggiò un velo di tristezza. Senza esitare un istante, ci fece cenno, a me e a mia madre, di andare a prepararci, e quel giorno stesso, vestiti di nero dalla testa ai piedi (mio padre si mise il suo completo migliore), partimmo.
I giorni seguenti furono strani e tristi; la consapevolezza della morte di una persona con la quale non avevamo avuto nessun contatto per più di dieci anni rendeva la perdita dolorosa il doppio: era come se fosse già morto, poi resuscitato un istante, giusto il tempo di farci ricordare di lui, e poi morto di nuovo. Non so se mio padre sentii anche solo per un istante il rimpianto di non avergli mai più parlato dopo quella famosa notte di urla e porte sbattute. Mia madre non mangiò per tre giorni, e al quarto svenne, tant'è che la dovettero portare d'urgenza al pronto soccorso. Io, dal canto mio, non avevo ancora realizzato per bene cos'era accaduto, stralci di ricordi affioravano alla mia mente, confondendosi e confondendomi. Così, preferivo passare il tempo in quella che era stata la biblioteca dello zio, dove scaffali pieni zeppi di libri di ogni forma e colore occupavano i muri dal pavimento fino al soffitto, con i miei cugini appena conosciuti, Andrej e Kristian, che avevano pressapoco la mia stessa età, giusto quattro o cinque anni in più. Tuttavia, quando dissi loro di quanto la presenza di loro padre fosse stata importante per la mia crescita per via di tutti i suoi racconti di viaggi, e di quanto io lo avessi ammirato da piccola, e di quanto avessi sognato di vivere un giorno una vita come la sua, loro mi guardarono perplessi, senza capire di cosa stessi parlando. Nostro padre faceva il benzinaio, disse Kristian. Lo ha sempre fatto, aggiunse Andrej.
Fu così che scoprii che mio zio Alfredo era stato un viaggiatore fallito. Giovane sognante e artistico, appassionato di cultura e di letteratura, da sempre pecora nera della famiglia, partì dal Sud Italia a bordo di una vecchia Cinquecento rossa, con la valigia piena di libri, la mente affollata di progetti, il cuore traboccante di speranze. Voleva ripercorrere le tratte dei suoi eroi, voleva fare le strade che fece secoli prima Marco Polo, passando dall'Est Europa fino in India e in Cina, ma evidentemente la Cinquecento non aveva le sue stesse intenzioni: infatti, non appena varcato il confine con la Slovenia decise che lei ne aveva avute abbastanza, di avventure, era già stata una fatica fin troppo grande risalire tutta l'Italia fin qua, ma vogliamo scherzare, e, senza un vero e proprio motivo, ad un tratto, nel bel mezzo di una strada sterrata, semplicemente, si spense.
Zio Alfredo la spinse, imprecando, facendosi aiutare da due campagnoli gentili che, fortunatamente, si trovavano a passare lì davanti e videro la scena, fino al meccanico più vicino che riuscirono a trovare. Il proprietario dell'officina parlava un italiano stentato, ma era simpatico e dal sorriso facile, e propose allo zio Alfredo di fermarsi la notte, offrendogli una delle stanze al piano di sopra che affittava ai rari viaggiatori che passavano di lì. “La bestiolina fa capriccio, serve qualche tempo per correre come nuovo,” disse con una risata rauca, facendo un cenno in direzione della Cinquecento immobile, ferma lì coi suoi fari spenti. Zio Alfredo fu costretto ad accettare, probabilmente senza neanche sospettare che quella sosta imprevista si sarebbe allungata sempre di più, che la data di partenza si sarebbe posticipata sempre più in là, soprattutto dopo che fece conoscenza della figlia del meccanico, Zlata, appunto, che in seguito sposò.
La Cinquecento rossa restò immobile e coi fari spenti, sia i giorni seguenti all'arrivo di zio Alfredo in quel posto, sia negli anni a venire: il danno, a quanto pare, era irrimediabile, o almeno lo era per il padre di Zlata. Tuttavia, lo zio non si decise mai a rottamarla, nonostante le lamentele di sua moglie, che insisteva, dicendo che quel catorcio occupava spazio inutilmente nel garage, e accumulava polvere, e ci andavano i piccioni a fare i nidi dentro, e i ratti a cagare, e chissà quale altra porcheria abitava in mezzo alla stoffa ammuffita dei sedili posteriori. “Non puoi capire,” le diceva mio zio, “questa non è una semplice macchina, è un monumento.”. Zlata sbuffava, portava gli occhi al cielo, borbottava velocemente Eccocirisiamo, si girava sui tacchi e tornava in cucina, dove un qualcosa di gorgogliante reclamava la sua attenzione da sopra i fornelli a gas. “Un monumento ai sogni che non si sono mai avverati,” concludeva, tra sé e sé, mio zio.
Tutte queste cose le ero venute a sapere un po' dai miei cugini, un po' da Zlata, un po' dai diari che mio zio teneva chiusi in un cassetto della scrivania nella biblioteca. Inizialmente pensai che tutte queste novità mi avrebbero fatto dispiacere, che sarei rimasta delusa, o addirittura ferita da questa improvvisa caduta di quello che era stato il mito della mia infanzia. Tuttavia scoprii con stupore di non avere dentro alcuna traccia di rancore. Capita, a volte, che gli idoli nei quali abbiam creduto per tanto, davvero tanto tempo, a un certo punto, sbaglino, o cadano, o si facciano male; e il loro sbagliarsi, il loro cadere, il loro farsi male ce li fa diventare ancora più cari, perché li rende ai nostri occhi umani, umani almeno quanto noi, quaggiù, che sbagliamo, e cadiamo, e ci facciamo male quasi tutti i giorni. Capita, a volte. O almeno, a me è capitato.
E dunque, nonostante tutto, mio zio Alfredo è stato capace di insegnarmi tante cose. Iniziai a salire i gradini lunghi e bassi che portavano alla Sala Borsa, e, piegando le dita sulla mano nascosta nella tasca della giacca, contai: ho imparato i quattro punti cardinali, uno; due, ho imparato a fidarmi delle cose stabili, solide, oggettive, e a ricercarle nella vita, e a seguirle; tre, ho imparato che l'amore rovina i migliori viaggi; quattro, ho imparato che non per forza bisogna percorrere migliaia di chilometri e sporcarsi le scarpe di centinaia di tipi di fanghi diversi per considerarsi uno che ha visto il mondo; infine, cinque, ho imparato che ci sono tanti modi diversi di viaggiare, e uno di questi era attraverso i libri. Spinsi la pesante porta di vetro di quell'enorme biblioteca spaziosa e dai soffitti affrescati, salii al primo piano, girai automaticamente a destra e mi ritrovai, come già tante altre volte mi ci ero ritrovata, nel reparto Geografia e Viaggi.

(to be continued...)

(Per la seconda parte, clicca QUI)

4 comments:

  1. Great story! Enjoyed reading it! My Italian is rusty but I think I understood everything well. Cannot wait to find out what exactly happened during that stormy night!!

    I have also one question. Unless my Italian failed me badly (in which case what I write is without any relevance whatsoever), I understand that she thinks that love ruins the best trips. That's one of her conclusions.

    I am just wondering if, perhaps, when he went on his trip, the love he found was what he was looking for from the very beginning and the trip to the lands faraway was actually a desire to find something big and extraordinary, some fantasy land worth living in, which culminated when he met the daughter of the other man?

    I understand that he stayed happily married and worked in one place(the gas station) for the rest of his life. I think if he was brave enough to undertake such a journey, surely if he wanted he could have left leave everything behind again, but for some reason he might have felt that when he had family, it was the best trip of his life and he didn't need to travel anymore. His wife, family life and kids put him of the best trip ever, that it was so intense and real
    that he concluded that this was what he wanted and didn't need to travel anymore? Then he decided to travel in books to keep the FANTASY alive and from what he told the little girl, he was happy with it (unless I didn't catch the little nuances of the Italian language).

    It looks like for him staying in one place was his true nature, not the Marco Polo type of a person. Besides, if the trip was not so good, he wouldn't have stopped I guess, what he found was much better than what he thought waited for him in the faraway lands.

    If the above were true, she might have come up with a conclusion that for example "We find the best things when we least expect them". Or, more
    precisely, "We find love when we least expect it." or that "We find the true value in people we meet in our lives." etc...

    If the little girls saw this it would be like finding antidote for the emptiness of existence. That everything we look for can actually be found in our backyard.

    I like this proverb that kind of goes close to what happened to the uncle in the story: "What you want might make you cry, what you need might pass you by." Perhaps he was lucky enough and what he really needed didn't pass him by!

    Now to see it from the little girl's point of view, I can actually imagine two situations when she would come with the conclusion that love ruins the best trips. First,if the uncle made it clear to her, when she was a little girl, that he regretted never really having undertaken the journeys he described to her(he never did that, always kept her in her dreams) or if her uncle's marriage was not a happy one. Then I could imagine her drawing the conclusion that love ruins the best trips...

    Second, if she thought about the trip as nothing more than moving from a place A to B. Then perhaps it would be that love ruined the travel, since it stopped it, but since I understand that for him the travel was more like a spiritual experience, because already he spiritually fulfilled himself enough that he ultimately didn't need to go on and that he preferred the family as a journey, not the travelling...


    And finally my question: Why did she come up with the conclusion that love ruins the best trips?

    Great and mind arousing story! I want more of it!

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  2. Hi Jan! I'm so happy that you really read all of it, i didnt expect so, to say the truth :) I'm really really glad that you liked it, and of course you can (you MUST!) comment it on the site, because that's exactly what i want to create: a discussion, an exchanging of opinions, but nobody seems to realize it, and so everybody writes me on Facebook "hey nice story" and nothing more... So PLEASE comment and say whatever you like, i'll be always sooo happy about it.
    What's about the questions you posed me, well, i think we have to talk about it, because probably you didnt take in some parts of the text (because of the language, i guess). For example, the stormy night... Well, i tried to make it clear that the mother of the girl was having sex with the uncle, and on that night the father just came back home earlier and found them while doing it, and that's why they argued and then never met again.
    Personally, i think that uncle Alfredo was indeed happy with his wife (otherwise he wouldnt stop there), but it was somehow an "obliged" happiness, because the car was broken, and probably he didnt have too much money to buy another one, and the girl was pretty, and the place wasnt too bad, and he got a job from Zlata's father... Don't you see an allegory with the medium man's life? At first, we all have so many beautiful dreams about our future, so many projects and ideas. Then, simply, everyday life comes, bringing with it everyday problems, everyday duties, everyday emotions. The only difference between Alfredo and Maurizio (his brother) is that Maurizio even doesn't make any effort to struggle against conformism, but just accepts it from the beginning, while Alfredo wants at least to try to live differently.
    So, yes, he was happy with Zlata, and probably he was happy with all of his life, but he still had the remorse of all his unrealized dreams. And the only moment when he could imagine to live the life he really wanted was when he was telling stories to the little girl. And if you notice, when the girl asks him if she could go with him, he answers with a sad face (i'm obsessed by details, every little thing has a meaning in what i write).
    But the girl's still young, and she still wants to fight, and to go against conformism, and that's why she doesn't fully realize how one can be happy even without making his own dreams come true, and so somehow she "blames" Zlata for her love, because it's because of Zlata that Alfredo didnt reach India and China. But on the other hand, she's smart enough to understand that there are other ways of travelling, and that's with the books.
    Anyway, the second part of the story is already online - now it's the turn of the boy to tell the story, from his point of view, and i'm afraid that it will be more difficult for you to understand (there are a lot of slang words and descriptions of the city of Bologna that one should know to fully understand), but i'm here to answer all of your questions, if there will be any :)

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  3. Il miglior racconto che abbia letto fin ora sul tuo blog. Appena potrò leggerò anche le altre due parti. Questo racconto, a differenza degli altri, ha un qualcosa di diverso. Nel raccontarlo si percepisce quella scintilla, quel pizzico di "emozione" in più che fa la differenza. L'impressione che ho ricevuto è che tu non abbia raccontato semplicemente una storia, ma che abbia raccontato un pezzo di te. Ho apprezzato molto la profondità del racconto che, riga dopo riga, ti cattura sempre di più, fa in modo che tu voglia sapere cosa c'è scritto dopo. Riguardo Alfredo, senza voler banalizzare il personaggio, mi sembra di intravedere il tipico sognatore, il tipico uomo che sogna di vivere fuori dagli schemi, ma che, inevitabilmente, per un motivo o un altro rimane "prigioniero" di quella che è la "vita" che viene imposta dalla società. Tuttavia è una persona di cuore e come tale non poteva non lasciare il segno in qualche modo. Infatti, dall'altro lato, c'è lei che rimane un po' "stregata" o "affascinata" dallo zio al tal punto che rimane più colpita nel vedere come i figli e la moglie non abbiano percepito l'essenza di quell'uomo ("Nostro padre faceva il benzinaio, l'ha sempre fatto" e le lamentele della moglie per l'ingombro dell'auto rendono molto chiara l'idea), che nel sapere la brutta notizia. Affascinante, poi, come viene vissuta la morte dello zio da parte di lei. Lei non demorde, anzi, questa è l'occasione giusta per avvicinarsi al proprio zio più di quanto non abbia potuto fare in 10 anni e lo fa da subito e nel modo in cui lo zio gli ha insegnato: Viaggiando. Sono curioso di leggere la seconda parte del racconto anche se, per come è finito, l'idea di un "sequel" mi lascia un po' perplesso. Ovviamente questa è una sensazione che ho a fine lettura di questa prima parte. Vedremo se sei stata abbastanza brava nella seconda parte da sorprendermi ;) :)

    Jay

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  4. Vedo che sei riuscito a cogliere l'essenza di Alfredo, e ne sono felice ;) fammi sapere cosa ne pensi delle restanti parti!
    Y.

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