Friday, November 9, 2012

Un'ipotetica Lei, un ipotetico Lui_parte 2.

(Per la prima parte, clicca QUI)

(Lui)

Converse nere bucate calpestano cocci di vetro crunch crunch questo rumore mi ricorda la mandibola di un cavallo che si chiude sopra una mela o una carota, i vetri sono verdi marroni e bianchi e sbrilluccicano alla luce dei lampioni come tanti piccoli diamanti, sembrano preziosi e romantici, sembrano stelle su un firmamento d'asfalto, e invece sono dei banalissimi pezzettini di vetro, ma d'altronde, di notte, che differenza fa?
Converse nere bucate camminano sui cocci di vetro – non perché lo vogliono, ma perché in Piazza Verdi dopo una certa ora è inevitabile – e attraversano lo spazio in direzione di un gruppetto di persone sedute a terra. Verranno i tempi quando Piazza Verdi verrà circondata di pattuglie della Polizia e dei Carabinieri, per “ripulirla”, diranno loro, per “evitare il bivaccamento”, diranno, per “limitare lo spaccio e gli schiamazzi”. Verranno i tempi quando saranno messi dei tavoli e delle panche, protetti dai veicoli della strada da delle siepi, e camerieri col grembiule nero serviranno pesce e vino e formaggi freschi. Verranno i tempi quando gli sbirri ti chiederanno – a volte gentilmente, a volte tirandoti su bruscamente per il braccio, a volte agitando minacciosamente il manganello – di alzarti da terra ogniqualvolta che, preso dall'abitudine e dalla nostalgia, cercherai di riformare il solito cerchio con gli amici nell'unico spazio libero dai tavoli, in quei pochi metri quadri davanti al Piccolo, cercherai di ripetere in quell'umile gesto di sedersi a terra un debole tentativo di appello alla libertà e alla democrazia, perché in Piazza Verdi tutti sono liberi, e tutti sono uguali – dai pankabbestia coi cani alle ragazze in minigonna – e tutti, in Piazza Verdi, si siedono per terra. Eppure verranno a chiederti di alzarti, perché, sai, non è consentito, non più, ora servono per forza le sedie, o, se proprio vuoi, vatti a stravaccare da qualche altra parte. Verranno quei tempi, come erano già venuti in piazza Santo Stefano, e in un certo senso anche in piazza San Francesco – recintarono la chiesa dopo il terremoto, per motivi di sicurezza, dicevano, ma c'era qualcosa che non ci tornava, – verranno, ma non allora, non quella sera, e neanche quella dopo, e neanche quella dopo ancora, il ché, per noi, era già una buona prospettiva.
Converse nere bucate si spostano sui cocci di vetro attraverso la piazza in mezzo a decine di altre Converse nere – rosse gialle viola blu – bucate – a volte no – per arrivare da quel mucchietto di persone che sono i miei amici, seduti, ovviamente, a terra, sui sanpietrini rossi. Il mio avvicinamento grazie alla folla passa inosservato, così quando arrivo a loro giusto in quel momento c'è Max che fa Cicileo!, e io che ancora non ho fatto un solo tiro in tutta la serata e quindi sono il più lucido di tutti rispondo per primo Ieo!, facendo saltare tutti quanti dalla sorpresa, mi siedo in un buco libero infilandomi tra Grazia e Mary e sfilo la giolla dalle dita di Max. Bastardo, mi dice sorridendo Leo, la chitarra come sempre in mano, le dita che accarezzano le corde come se fosse una donna, e attacca a suonare una delle solite canzoni che si suonano qua, una di quelle con due o tre accordi al massimo, che conoscono tutti, e che tutti possono cantare anche da ubriachi. Dai, ho portato qualche birra, dico io togliendomi dalle spalle lo zaino che tintinna allegramente. Grande, passa qua, di nuovo la Peroni?, ma che schifo, vabbè, in mancanza d'altro.

Converse nere bucate, nelle quali ci sono i miei piedi, sui quali cammino – o barcollo, o mi trascino, o striscio, dipende – nientepopodimeno che io, me medesimo, in prima persona. Mica scherzi, eh.
Converse nere bucate nelle quali passo tutte le mie giornate mattino pomeriggio sera e notte, non son mica come quelli che frequentano l'Atlantic o il Cafè De Paris o tutti quegli altri locali da fighetti della Bologna bene, non son mica come loro che ho le scarpe per il giorno e le scarpe per la sera, le scarpe per mangiare e le scarpe per andare al cesso. Io di scarpe c'ho queste, sono delle Converse nere bucate che comprai all'ultimo anno di liceo, quindi pensa un po' te per quanti anni della mia vita hanno dovuto sopportare il mio peso, poverine. Quante strade hanno percorso, e quante cose, probabilmente, si ricorderebbero in più di me, se solo avessero una memoria. Forse ce l'hanno, boh.
Io di memoria ne ho poca, saranno le canne, non lo so, fatto sta che non ricordo più quand'è stata l'ultima volta che ho passato un venerdì sera diverso da questo, e non so se rallegrarmene oppure no. Da qualche parte dall'altro lato della piazza iniziano a suonare dei bonghi, c'è gente che balla, da qualche finestra si sentono le solite grida Basta!, Smettetela!, Sono le due di notte!, C'è gente che la mattina va a lavorare!, ma noi siamo giovani, e vogliamo essere giovani, possibilmente per sempre, e la mattina dormiamo fino a tardi. Il tempo passa, i locali iniziano a chiudere, vediamo i soliti baristi passare, i più stanchi in bicicletta per andare a casa, i più resistenti a piedi per fermarsi a bere un'ultima birra, a fare un'ultima chiacchiera, a salutare qualche conoscente. La piazza inizia a sfoltirsi, ecco la pazza di via Zamboni che come ogni notte viene a rivoltare i cestini della spazzatura per prendersi le buste di plastica – a cosa le serviranno, poi, mi son sempre chiesto, – ecco il solito sciupafemmine che si porta a casa qualche ragazza erasmus tedesca in pantaloncini corti nonostante il freddo, ed ecco che l'ennesima alba sta per affacciarsi sul cielo sopra di noi, e io, non so perché, ma tutto ad un tratto mi sento triste.
E' già da un po' che questa sensazione mi tormenta, per quanto stia cercando di tenerla a bada, per quanto stia cercando di non darle sfogo, di lasciarla perdere, di pensare Ma no, è solo l'alcool, mi sta prendendo a male, una dormita e via, mi passa tutto. Eppure ci sono volte che torno a casa, dormo, ma la mattina dopo mi sveglio e quella sensazione è ancora lì, ad opprimermi il cuore, a tormentarmi la mente, e io come uno stupido a chiedermi Ma che c'ho che non va?, e anche gli altri me lo chiedono, perché vedono che sono diverso dal solito, che parlo di meno, che non rido alle loro battute, e allora mi chiedono Ma che c'hai che non va?, e io vorrei rispondere loro qualcosa, ma non so cosa, faccio un respiro profondo per iniziare a parlare, apro la bocca, e poi la richiudo ed espiro lentamente, perché non so che dire, e mi limito a fare spallucce, e allora mi dicono Non ci pensare, bevici su, tieni, e mi passano da fumare, ed effettivamente non pensarci è la soluzione migliore, berci su è la soluzione più comoda, ma ci sono volte che non ce la faccio, e allora dico No grazie, mi sento stanco, credo che andrò a casa. Gli altri sbuffano, mi prendono in giro, mi chiamano vecchio, ma alla fine non insistono, forse perché sanno come sto, forse perché anche a loro capita di sentirsi così ogni tanto, non lo so, non ne abbiamo mai parlato.
Così mi alzo, sulle mie Converse nere bucate, mi alzo e dico Raga qua si sta facendo giorno, io vado. Loro mi danno ragione, Mary e Leo si alzano insieme a me, Grazia e Max ci mettono un po' di più, ma alla fine ci incamminiamo tutti per Largo Respighi, arriviamo all'incrocio con via Belle Arti e lì ci salutiamo: Max e Leo a destra, Grazia e Mary dritto, io a sinistra.
Converse nere bucate camminano per le strade buie di una città che ti ingloba, una città che come una madre premurosa ti stringe a sé con le sue braccia grassocce, la testa affondata nelle sue tette calde e morbide, una madre che ti consola, che ti accarezza dolcemente sulla testa e ti dice Tranquillo, non ti preoccupare, sei giovane, come tutti gli altri, siete tutti belli e giovani, e qui tra le mie braccia c'è posto per tutti, non piangere, bimbo, non sei solo, non lo sarai mai finché rimarrai con me. L'aria fredda della notte mi fa rabbrividire e mi ricorda che l'inverno è vicino, a due passi, nascosto dietro l'angolo, pronto a saltare e a fare Bu non appena ti avvicini, devo ricordarmi di mettere un maglione più pesante la prossima volta. I miei passi rimbombano sotto gli alti portici di via Rizzoli, la luce dei lampioni è gialla e mette a proprio agio, che vecchia puttana che è Bologna, seduttrice esperta, sa quanto sia più erotico ed eccitante l'attesa tediosa del lento spogliarsi, e infatti è una città che si scopre lentamente, strato dopo strato, abbassa prima una bretellina, poi, senza fretta, una seconda, poi alza giusto di un pelino la gonna, e poi, un giorno, chissà come, ti alzi, metti su a fare il caffè, apri le persiane, ti affacci alla finestra che dà sui tetti bassi e rossi del centro storico, inspiri l'aria che sa di legna bruciata, di biscotti appena sfornati, di sapone, e senti il vociare allegro e spensierato di tutti quei ragazzi, e il campanello di una bicicletta, e la voce di Guccini che giunge appannata dalla camera affianco – e ti rendi conto che sei follemente, perdutamente e irrimediabilmente innamorato di questo posto.
Eppure, penso guardando la chiesa di San Petronio (è una vita che la stanno ristrutturando, chissà se prima o poi riuscirò a vederla finita, senza quel telo davanti), eppure, penso passeggiando attorno al cosiddetto crescentone (non è altro che un enorme gradino in mezzo alla piazza, però come in ogni città ci sono delle superstizioni, e qui si dice che attraversare la piazza passando in diagonale sul crescentone porta sfiga, così io accuratamente lo evito, gli giro intorno, anche se non ci credo a ste puttanate, ma non si sa mai, tanto, che mi costa fare qualche metro in più?), eppure penso (nonostante l'amore che mi riempie guardando la fontana del Nettuno con le statue di donne ai suoi piedi che spruzzano acqua dai capezzoli), penso: Me ne voglio andare.
Converse nere bucate camminano per le stesse vie di sempre, quanto siamo soggetti alle abitudini!, ormai il cervello non viene neanche più interpellato, i miei piedi sanno dove andare, ci pensano loro, mi fido di loro, li seguo fiducioso. Camminare, anche senza meta, dà l'impressione di andare da qualche parte, di raggiungere qualcosa, anche se non è così, anche se è solo un'illusione, ma vi immaginate come sarebbe difficile vivere senza illusioni? No, non credo sia possibile, è troppo difficile, ed è per questo che lascio che la vita mi illuda, la lascio fare, come un genitore che è troppo pigro per sgridare il proprio figlio quando fa qualcosa di sbagliato. Non ho sonno, non riesco ad essere stanco, non adesso, così cammino, per ore, fino a quando non si fa giorno, fino a quando non si aprono le prime serrande, sono il primo cliente della mattina per questo bar dove entro a fare colazione, il ragazzo al bancone si gira verso di me con un'aria stupita, è uno di quei bar dove i clienti sono sempre gli stessi, ed arrivano sempre agli stessi orari, come se fossero stati stabiliti da un contratto, e dove qualsiasi novità è presa con sorpresa e diffidenza, qua nessuno si aspetta di vedere arrivare me per primo, perché arrivo prima dei vecchi insonni che si alzano alle sei del mattino e si riuniscono per parlare di calcio dalla mattina alla sera; prima di quelli che lavorano al Mercato delle Erbe a nero per pochi euro al giorno; prima degli africani che vendono gli accendini per strada e che ormai i bar li conoscono tutti e c'è sempre qualche barista impietosito che offre loro un caffè, o un panino, o solo un bicchiere d'acqua; prima dei trentenni affamati che si ritirano a quest'ora dalle discoteche più in, quelle sui colli, quelle che devi avere la macchina per raggiungerle e pagare venticinque euro per entrare e metterti in lista e avere per forza l'abito elegante e almeno una sessantina di euro da spendere in alcool e droghe, altrimenti non ti fanno entrare; arrivo prima, prim'ancora. Ho ancora una chimica tremenda dalla sera prima, e il barista assonnato mi guarda incredulo ingurgitare tre cornetti doppia nutella uno dietro l'altro, senza fermarmi. Non so che farmene della mia giornata, non so che farmene della mia vita, tornare a casa sarebbe troppo frustrante, così esco dal bar e resto ancora un po' in piazza sui gradini della Sala Borsa a lasciare che i deboli raggi di un sole ormai invernale mi riscaldino le ossa congelate.
Poi, alle dieci in punto, sento dietro di me il rumore di una chiave che viene girata di scatto, una porta aprirsi lentamente, e i primi studenti coraggiosi, probabilmente a pochi giorni da un esame, o con una tesi da preparare, insieme a qualche barbone infreddolito, iniziano ad entrare. Li guardo per un po', indeciso sul da farsi, poi, finalmente, mi alzo e, seguendo il loro esempio, oltrepasso la soglia della biblioteca.

(to be continued...)

4 comments:

  1. Hey Elena, I have read the second part now - I really like it and I definitely want to say something about it - but before I go on I wanted to ask, Converse nere bucate - are they some kind of boots? I just don't get it, my Italian apparently needs polishing up and I am going to tell Google to man up and get things up to date with their dictionary :-)

    Second question, are these two characters going to meet at some point? Piazza Maggiore is in Bologna and so is Piazza Verdi, am I right?

    Jan

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  2. Hey Jan! Converse is a sneakers' brand, they are very popular in Italy, sure you know them: www.converse.com . "Converse nere bucate" literally means "black Converse with wholes". And yes, Piazza Maggiore is the main square of the city, and Piazza Verdi is the most popular place amongst students and young people for meeting.
    I don't know if you got the joke about Cicileo? I can explain it to you if you want.

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  3. :D gli anni universitari sono troppo lontani ormai, eh, mammina? :P
    Quando in un gruppo di ragazzi che stanno fumando una canna colui che la tiene in mano dice Cicileo il primo che riesce a rispondere Ieo se la aggiudica.
    non dimenticare di commentare ;)

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